#
Anche nella cattolica Italia non si nasce più cristiani per definizione, ma lo si diventa invece per scelta matura e consapevole ed è allora necessario dare a questa vocazione – vera chiamata per fede, frutto dell’incontro con l’Altro – il senso autentico e pieno che ciò necessariamente comporta. Non è infatti un dato principalmente anagrafico o di appartenenza familiare, l’essere membri della Chiesa di Cristo, ma diventa una chiamata alla Missione attiva, nel senso della partecipazione reale alla costruzione del Regno, ciascuno sulla base dei talenti di cui dispone, impegnandosi in prima persona per farli fruttare al meglio. Da un lato ciò può comportare l’essere apparentemente meno numerosi di un tempo, ma certo più convinti e partecipi. Essere cristiani non è mai stato infatti un impegno per soli religiosi a cui i laici assistono, ma uno stile di vita che riguarda ogni battezzato e quindi di scelte da compiersi ogni giorno nel concreto della propria vita. Lo stesso Vangelo ci ricorda invero che i cristiani in quanto tali devono essere “il sale della terra e la luce del mondo”, condizione davvero necessaria in un mondo oggi largamente “insipido”, in cui le “tenebre” paiono farla da padrone. Ed una sfida che interpella quindi tutti e che, secondo le parole di Gesù, è insieme un “dono” ed un “compito”. Non ci demoralizzi il sapere che viviamo tempi difficili, in cui sembra perfino diventato un nuovo valore sociale il dichiarare, senza pudore, di non avere alcun valore umano autentico. Ci è d’aiuto lo stesso Sant’Agostino quando afferma: “Voi dite: i tempi sono cattivi; i tempi sono pesanti; i tempi sono difficili. Vivete bene, e muterete i tempi!” (Discorsi, 311-8).
Oggi il cristianesimo e ciò che di singolare ed unico rappresenta, è declinato dalle diverse componenti della società, anche partitiche, in maniera esplicita od implicita, con una presenza diffusa e disseminata che, se ha in sé il germe della missionarietà, corre d’altro canto il rischio dell’insignificanza se non della contraddizione inaccettabile. I cristiani ed i loro simboli più alti non possono e non devono infatti essere mai strumentalizzati o divenire appannaggio solo di una parte, per essere anche branditi contro l’altra, per quanto ci sia chi si ritenga espressione di istanze maggiormente meritorie dell’appellativo “cristiano”, ma tutte comunque da dimostrare nella finalità realmente cristiana delle proprie scelte complessive reali.
La vita e la sua tutela, nella promozione integrale della persona umana, di ogni uomo e di tutto l’uomo, secondo la corretta logica evangelica e nello spirito del magistero ecclesiale, di cui è magnifica espressione recente l’enciclica Caritas in Veritate di papa Benedetto XVI, sono infatti la cartina di tornasole della bontà dell’impegno sociale di un cristiano, cui non basta perseguire la giustizia, se disgiunta dall’amore e che mai potrebbe abdicare ad essere se stesso ed esprimersi con coerenza, ad ogni costo, neppure se messo in minoranza.
Ci sono inoltre tanti buoni cristiani impegnati nel sociale che, nella contemporanea società degli uomini liberi, frutto dell’illuminismo positivista, oggi liberi da tutto, perfino dalla propria coscienza e da Dio, corrono il rischio di agire al servizio di cause che, ai piani alti dei poteri reali globali e sotto la veste amabile e suadente di azioni a difesa dei diritti dell’uomo, perseguono nei fatti l’annichilimento del valore inalienabile della vita, la scomparsa della fede, l’annullamento della stessa Chiesa.
Nei tempi moderni dell’individualismo è stato separato, non senza ragioni, visti i guasti del passato, il potere politico da quello religioso, da lì facendo discendere la necessità di vivere in maniera separata le due dimensioni del vivere umano. Nella separazione si è di fatto insinuato, con forza ed evidenza, il male della contraddizione, il vizio dell’errore, la morte dell’essere umano e della sua dignità di figlio di Dio. Ma separazione degli ambiti non significa divisione e non vuole dire nemmeno estraneità e tantomeno perdita di identità. Essere cristiani, oggi, significa anche essere minoranza esplicita, critica e propositiva, capace di testimoniare la novità evangelica nel mondo contemporaneo. E si può fare sia disseminati in ambiti tra loro diversi, sia uniti invece nella comune testimonianza, anche politica. Una scelta non esclude l’altra. Ciò vale per chi è impegnato in politica e nel sociale, ma anche semplicemente nelle scelte quotidiane di ciascuno. L’importante è vivere la propria dimensione personale nella consapevolezza di una testimonianza che non conosce altro modo, per essere espressa, che la fedeltà a Cristo, unica e vera Via, Verità e Vita e che, in quanto tale, non ammette doppiezze o, peggio, tradimenti. Può non essere popolare e nemmeno “furbo”, secondo le false e fugaci convenienze del tempo, ma solo l’amore e la fedeltà saranno riconosciuti.
Alessandro Piergentili
© copyright