MENTRE AIUTIAMO CHI SOFFRE, ALZIAMO LO SGUARDO.
Di un’immigrazione di massa, voluta, dobbiamo leggere le reali dinamiche.
E’ vero che Gesù ci manda nel mondo, fino ai confini della terra, e sa che siamo “come pecore in mezzo ai lupi” ed è per questo che se ci vuole “candidi come colombe”, esige anche che siamo “astuti come serpenti” (Mt 10,16).
Cerchiamo di esserlo, per quanto ci riesce, anche trattando lo spinoso tema dell’immigrazione, massiccia e senza regole, in una società come la nostra, non a caso sempre più multietnica e multireligiosa. Sgombriamo il campo dagli equivoci possibili, tutto questo “multi” non significa che non abbiamo più, né che non dobbiamo conservare, anche con sana consapevolezza, una storia, una tradizione, delle radici, una giusta identità personale e comunitaria. Da duemila anni a questa parte, nella vecchia Europa, non possiamo non dirci cristiani: queste e non altre sono infatti le nostre basi sociali, culturali, valoriali, artistiche. L’hanno dovuto riconoscere persino pensatori ed intellettuali, onesti, che pure non hanno il dono della fede.. Non possiamo soffrire però della “sindrome di Stoccolma”, quel sottile paradosso psicologico per cui, assediati d’intorno, in senso quantitativo e reale, da moltitudini di emarginati e bisognosi di ogni dove, finiamo col dimenticare chi siamo per “innamorarci” del nuovo e del diverso dimenticando chi siamo e quanto valiamo. Questa è in effetti una società dal pensiero debole, dove l’eccezione la si fa regola e dove pochi potenti hanno in mano le leve vere del potere, a partire dal controllo della finanza, dei mass-media, delle istituzioni di governo e della stessa politica, tutti elementi di distrazione, se non di condizionamento, di massa.
E’ allora giusto, politicamente corretto, senz’altro anche cristiano, dire che debbono poter venire qui tutti, da ogni provenienza e spinti dal bisogno, gridando no ai muri di ogni genere, ma ribadendo che servono piuttosto “ponti” ed andando persino loro incontro, se serve, a prenderceli, guadagnandoci così dal governo austriaco l’epiteto, un po’ irriguardoso, ma non del tutto immotivato, di “scafisti d’Europa”. Ed anche di “ipocriti”, per il fatto che una volta giunti da noi, li lasciamo “liberi”, sì, anche di morire di fame e delinquere, disinteressandocene di fatto e permettendo che vaghino per il continente.
Quanti dei ripetitori di facili slogan, al passo spesso con bandiere “multi”-colore, aprirebbero realmente la porta di casa loro ai bisognosi che dicono di voler accogliere, senza lo sforzo di una costruzione critica? Certo anche i più disponibili vi pongono comunque un limite. L’esercizio della retorica è il più semplice, ma anche altrettanto pericoloso, se è fine a se stesso e rischia così di venire strumentalizzato.
Dobbiamo allora fare un salto di qualità e, mentre aiutiamo chi e come possiamo, andiamo alle radici del problema, capiamone le vere cause, cosa muove queste masse e perché ciò accade realmente ed a chi giovi davvero.
Maurizio Blondet, noto scrittore cattolico, commentando in questi giorni il potere delle lobby nel mondo e guardando a chi le manovra, dopo l’approvazione a suon di fiducia anche in Italia del “matrimonio gay” (questo è ciò che di fatto è stato legiferato) le ha definite “forze terribili ed oscure difficili da contrastare, con un potere terrificante”. Sono le stesse forze che controllano le grandi democrazie occidentali (provate però a “sbarcare” negli Stati Uniti senza documenti preparati in anticipo, autorizzazioni, soldi a sufficienza per il soggiorno, fotografia anche delle retine oculari ed un valido motivo per entrare e vedrete che “ponti” vi preparano! E non è certo l’unico Paese al mondo, sono la maggioranza a regolarsi così!) e che hanno voluto, tra l’altro, l’Europa di Maastricht, quella fondata non più sul Dio cristiano, ma sul dio quattrino di nome “euro”, di proprietà di banche centrali private e vogliono un nuovo ordine mondiale, con un’Europa senza identità, né anima, ottenuta anche con l’immissione di masse di disperati, a vario titolo presenti.
Sono tanti gli immigrati che premono infatti alle porte del continente, e da noi ogni giorno ne arrivano di nuovi. E quante provenienze diverse nella stessa terra bresciana, profondamente trasformata nel giro di una trentina d’anni. E’ quindi un fenomeno recente, ma epocale. Chi di noi è adulto da un po’ di tempo non ricorda, nella sua infanzia, di aver mai incontrato per le nostre strade un uomo dalla pelle scura, che sì, sapeva esistessero, ma li aveva visti al più in televisione od al cinema. Semplicemente qui non erano arrivati, da migliaia di anni, mai giunti stabilmente ed in gran numero nelle nostre città, benché non mancassero i mezzi di trasporto, a partire da scafi e gommoni. Non è quindi solo un problema contingente di guerre e povertà, che pure affliggono davvero l’umanità, specie quella più povera e dei tanti, troppi “senza voce” e che lo fanno dalla notte dei tempi e per chissà quanto tempo ancora (“I poveri li avrete sempre con voi”, Mc 14,7).
Per un povero e la sua famiglia il vero aiuto non è emigrare altrove, pietendo dignità, contendendola alle povertà del nuovo territorio che ha già le proprie sofferenze e limiti strutturali, ma è togliere ai poveri le catene dove vivono, cancellando i debiti ingiusti dei Paesi poveri, impedendo lo sfruttamento, combattendo la corruzione, agendo davvero con politiche di cooperazione internazionale costruttive ed efficaci, cambiando quindi la loro vita, ponendo le condizioni di un reale sviluppo, là dove vivono, dove per loro è “casa”.
E non lo si fa né con gli aiuti “pelosi” concessi ad arte, ma agendo, a livello internazionale, perché cessino le tante, troppe, guerre ingiuste, i bombardamenti a tappeto, le violenze là dove devono poter vivere in pace.
Questo è essere sì candidi come colombe, ma anche giustamente “astuti”, senza retorica, nell’interesse di tutti, che è il sogno stesso di Dio.
Alessandro Piergentili
© copyright