VIVERE, NON SOPRAVVIVERE

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Agli amici, ai propri cari ed a se stessi si augura sovente felicità, fortuna, benessere.  Che tutto vada bene, che vivere sia un successo.    Accompagnano questi auspici le immagini ed i riferimenti oggi ovunque presenti e che proponiamo ai nostri giovani come riferimenti valoriali, che tali non sono in realtà, ma che loro assumono per tali.    “Così fan tutti”, si risponde scacciando dubbi e tacitando sepolte coscienze.

Si deve vivere appieno, senza limiti e confini, secondo logiche di vite “spericolate” e le visioni di una “religione” laica, tanto diffusa e praticata, che vede la realizzazione di una persona in base a quanto sia in vista, non importa più per cosa, fosse anche per la sua sconfinata pochezza, basta che la ponga ai vertici della stessa.   O per la quantità di beni posseduti, l’importanza di firme esibite, l’esilità delle forme se donna o dei muscoli scolpiti ad ogni costo se uomo, delle abbronzature senza stagione, del divertimento dovuto inteso come appagamento di ogni pulsione istintiva, che si compra e si soddisfa, perché tutto è in vendita, secondo sballi e movide oggi così praticate e diffuse.  Nuove armi di “distruzione di massa”.    La nostra società corre il rischio, la cui colpa ricade su tutti non essendoci un responsabile unico, di accettare non solo la manipolazione della vita (aborti, eutanasia, manipolazioni genetiche) ma di contaminare, immiserire ed infine distruggere tante vite comuni, le vite, ciascuna preziosissima, di ciascuno di noi e dei nostri figli.

In tanto deserto spirituale, che è frutto anche di una manifesta povertà culturale, si finisce col credere che chi non ha un “posto al sole”, notorietà e visibilità sociali, sia un povero “sfortunato”, per non dirla col linguaggio greve dei giovani così purtroppo in voga e che debba restare ai margini della nostra società, tanto tecnologica e definita evoluta.

Escludendo chi ne fa un uso professionale e maturo responsabile, per quale ragione dobbiamo avere, anche solo per limitarci a chiamare parenti e conoscenti, smartphone tanto potenti che avrebbero potuto condurre l’Apollo 8 sulla Luna e ne rincorriamo i sempre nuovi modelli? O perché viaggiando incolonnati in città, tra smog e vicoli stretti, dobbiamo accompagnare i figli fin davanti al portone di scuola con improbabili Suv, strappati alla savana e dotati di “parabufali”?  Basta girare per il centro di una città alle otto del mattino per rendersene conto.. Per quale ragione una borsa in pelle, per quanto bella, non “vale” e non ci interessa se non ha la targhetta Prada (per dirne una)?  E cosa ci facciamo tutti, belli e brutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, su Facebook a scrivere autentiche banalità ad ogni ora, che un tempo avremmo risparmiato anche ai parenti stretti e facciamo invece sapere “al mondo” in tempo reale cosa stiamo facendo, mangiando, guardando e con chi facciamo all’amore, purtroppo inteso solo come bene di consumo e “casella da riempire” sulla bacheca, per non essere da meno?

Siamo in un circolo vizioso in tutti i sensi, in cui per tutto l’arco della giornata comunichiamo (cellulare, sms, facebook, chat, a volte, ancora, anche a voce..) senza dire realmente nulla e ci corichiamo “pieni” di tanto vuoto.    Sempre apparentemente collegati a qualcuno, siamo infatti più soli ed ansiosi che mai.

I bisogni degli altri, le povertà, solitudini e sofferenze che ci circondano e di cui il mondo è pieno, sono motivi di disturbo, da esorcizzare e da cui allontanare lo sguardo.

Dio stesso non c’è. Nel nostro orizzonte Dio non ha spazio. E Dio, che ci parla nel silenzio e nell’ascolto, non può “parlarci”: siamo sempre occupati.  Corriamo, andiamo di  fretta.    Il lavoro, gli impegni, la palestra, i centri estetici, anche impegni mondani, pseudoculturali e non certo ultimo il divertimento irrinunciabile, ci attendono.   Dio può invece aspettare, gli possiamo rivolgere un dubbioso pensiero solo se ci troviamo all’ultima spiaggia.

Ma “verrà il giudizio di Dio”, come disse in Sicilia parlando ad uomini senza dignità e che tali non sono, il grande papa Giovanni Paolo II, si verrà un giorno in cui, crollata la finzione, finito l’inganno, saremo posti dinnanzi alla Verità e faremo i conti con quel che abbiamo fatto del dono ineguagliabile della vita, ricevuto senza meriti e della sorte di chi ci è stato affidato (“Dov’è tuo fratello?” – Gn. 4,9).

Alessandro Piergentili

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