LA LINGUA DEI CORVI

C’è una fede diffusa, per prima, tra addetti ai lavori, che parla ormai la stessa lingua del tempo.

Ne vanno fieri, la parlano bene e la parlano troppo.

E’ una lingua suadente, di un vuoto parlare.

E’ la fede pretesa adulta, molto inculturata, improntata alla asserita necessaria collaborazione tra Chiesa e Stato, che è fatta di ministri militanti, spettinati e molto casual, che predicano alla “bella ciao”, usano stole arcobaleno, parlano da capipopolo marxisti a comunisti nel frattempo scomparsi e annunciano un vangelo “sociale” privo di ogni trascendenza, che tocca la pancia dei fedeli meno attrezzati e suscita emozioni a basso costo, senza reale prospettiva.

Sono così, si spera per loro inavvertitamente, utili pedine di poteri grigi cari alla massoneria ed ai suoi progetti di “nuovi ordini mondiali” e religioni umanitarie.

Consacrati che rifiutano, così, il senso misterico dello stesso termine e ironizzano sulle mani unte di crisma, pronti a menarle all’aria delle piazze e sui palchi della vuota retorica falsamente buonista.

Persone che sono più scettiche di un agnostico e pensano ad un Dio metafora ed un Cristo vecchio di  duemila anni ed allora celebrano, idolatrandolo, l’uomo, nella sua deprimente individualità disperante.

Uomini di Chiesa che non credono realmente nella Resurrezione, ma sono i primi convinti che un virus resista alla potenza di Dio anche laddove è particolarmente presente, e persino nella stessa Eucarestia.

Ecco che allora si negano le Messe, si sciolgono i fedeli da impegni e conforti vitali millenari, si trasformano le chiese alla stregua di cinema e teatri, trattandole alla stessa stregua.

Questa parte di Chiesa è decotta, già morta prima del covid19 e, almeno questo conforta, non ha prospettive, né conoscerà resurrezione.

 

Alessandro Piergentili

 

 

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